Kant, "Critica della ragion sciatica", Laverza 2019
Sebbene avesse giurato di essere ormai in pensione nelle pagine conclusive della "Critica dell'ospizio", sul finire del 1803 il filosofo di Königsberg pubblica un'opera che è un trionfo di senilità, diciamo a livello del tardo Woody Allen. L'ultimo Kant, ormai ben lontano dalla verve di "Che cos'è l'illusionismo?" e dalla vis polemica della "Critica del ju-jitsu", comprende faticosamente quel che è ovvio per chiunque abbia provato dolori lombari: che il mal di schiena è profondamente e inconfutabilmente reale, inafferrabile nella sua essenza ma impossibile da ignorare - in altre parole, è il noumeno - e non c'è altra saggezza pratica se non quella riassunta nell'imperativo categorico di trovare una posizione che eviti di provare una sofferenza universale. Il libro si conclude con le parole che sigilleranno la sua tomba: «due cose riempiono l'anima di ammirazione, il cielo stellato sopra di me e l'analgesico dentro di me».
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Alcuni commenti pervenuti
Gianfranco Brambati
Questa opera influenzerà anche Goethe che parecchi anni prima di andare in pensione ne affronterà la problematica nel suo "I dolori del giovane Werther". Fu l'editore Gibaud a togliere dal titolo l'aggettivo "reumatici" per non avere problemi di copyright.
Luigi Cesari
Esatto dall opera di Kant:
§1. Dell'impossibilità trascendentale di piegarsi a raccogliere oggetti dal pavimento
È manifesto all'intelletto, attraverso l'esperienza sensibile più immediata, che la facoltà lombare costituisce il fondamento stesso della possibilità dell'esperienza. Giacché, come potrebbe il soggetto trascendentale esercitare le proprie funzioni conoscitive se non attraverso una postura che gli consenta di mantenersi eretto nel mondo fenomenico?
La sciatica si presenta dunque come condizione a priori della sofferenza, precedente ogni esperienza particolare del dolore, eppure presente in ogni sua manifestazione empirica. Non è possibile, infatti, concepire un dolore lombare che non si dia nel tempo - tempus fugit, dolor manet - e nello spazio - precipuamente quello tra la quarta e la quinta vertebra.
§2. Dell'antinomia tra il riposo e il movimento
La ragione si trova qui di fronte a un'antinomia apparentemente insolubile:
Tesi: Il riposo assoluto è necessario per alleviare il tormento sciatico.
Antitesi: Il movimento è indispensabile per evitare l'anchilosi.
Tale antinomia si risolve unicamente nella sintesi superiore del "movimento cauto", che si manifesta nella massima pratica: "Agisci in modo che il principio della tua mobilità possa valere come legge universale della fisioterapia".
§3. Dell'imperativo terapeutico
Si impone quindi alla ragione un imperativo categorico, che così si enuncia: "Comportati in ogni momento come se la postura che stai assumendo dovesse diventare, attraverso la tua volontà, legge universale della natura". Da ciò deriva che non è lecito assumere posizioni che, se universalizzate, provocherebbero il collasso della società civile nel suo complesso.
In conclusione, dobbiamo ammettere che la sciatica, al pari delle idee di Dio, libertà e immortalità dell'anima, sfugge alla conoscenza fenomenica pur imponendosi come presenza noumenica innegabile. L'unica consolazione resta la contemplazione estatica del firmamento, purché eseguita in posizione supina su un materasso ortopedico di media rigidità.
La mascherina di Godot
Non tutte le fonti però concordano sul fatto del giardinaggio. Alcuni ritengono che gli ultimi giorni della sua vita li trascorresse osservando i cantieri, che sono stati chiamati così proprio in suo onore.
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