Edmond Jabès, Il libro del dialogo
'Il Libro del dialogo', nell'opera di Jabès, è il libro che più di altri mette in scena la centralità del tu. Il tu, nella grazia della sua singolarità e irripetibilità, e nel limite della sua finitudine, è osservato come sorgente, per l'io, di un riconoscimento di sé, come principio da cui sgorga la conoscenza di sé. "L'Io è miracolo del Tu", dice un passaggio del libro che potrebbe essere assunto come esergo per una riflessione intorno al rapporto con l'altro, intorno alla presenza dell'altro nel tempo e nello spazio della propria interiorità. Il dialogo non è nella comunicazione, nell'agire comunicativo, non è nella parola che si sovrappone alla parola, che ad essa replica e da essa rimbalza, non è nella rappresentazione di sé affidata alla lingua. Il dialogo è silenzio che cerca di muoversi verso la lingua, ascolto che si svolge in interrogazione, immagine dell'altro che cerca la via della prossimità." (Antonio Prete)
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Il primo consiglio, di fronte a chi millanta filosofia, è rivolgersi alle fonti. Perché devo farmi spiegare da un terzo – che di solito tira la filosofia al proprio mulino, cioè la usa per far soldi – Epitteto, Seneca o Eraclito. Leggiamoli noi, divoriamoli, siamo, editorialmente, nel migliore dei mondi possibili, possiamo scegliere le traduzioni migliori dei pensatori migliori – io di Eraclito, il genio scontroso che mandò gli efesini affanculo per ritirarsi nei boschi a succhiare il midollo della sapienza, ho almeno cinque versioni diverse, la più bella è quella di Luciano Parinetto per Marcos y Marcos, ma è introvabile. Eppure, il pensiero va avanti, mica s’è fossilizzato in Grecia, duemilacinquecento anni fa. In quest’era in cui i filosofi sono diventati dei trainer della buona notte, la filosofia, per davvero, forse da sempre, viene dai poeti. Antonio Prete, che è una specie di jedi leopardiano, un grande, grandissimo studioso di cose belle, ha tradotto per Manni Il libro del dialogo di Edmond Jabès (1912-1991), che è tra i massimi poeti europei del secondo Novecento. Già insediato con il biblico Libro delle interrogazioni (son 1800 pagine di lirica vertigine) nella collana Bompiani ‘Il pensiero occidentale’, nel 2015, Jabès è un poeta originario, che sfrega con quieta magia parole bianche, dando avvio a universi, a calamità verbali. Ad esempio, sul Diritto alla libertà: “La libertà mi tiene legato alla libertà che imprigiono. ‘Ho fatto della libertà il mio legame’, scriveva”. Oppure, nella sezione Il dopodialogo, Jabès ci falcia con aforismi provenienti da un aldilà di deserti, “L’essere è futuro”, “La verità è senza volto. Avendole prestato il nostro, l’abbiamo resa peritura”, “Il sapere ultimo è oblio”, “Un alveare di interrogazioni. Ad ogni pensiero la sua razione di miele. Api. Api”. Dentro questi bagliori – che non chiedono approvazione ma cura – si può abitare per giorni. In questo, ad esempio: “Puoi comprendere solo ciò che distruggi”. Il sonar del linguaggio entra a spirale dentro di noi, fino al luogo oscuro dove non siamo già uomini, ma orche, aculei e denti.
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Recensione a Edmond Jabès, "Il Libro del dialogo", traduzione e cura di Antonio Prete, Bari, Manni, 2016. In "Semicerchio. Rivista di poesia comparata", LVI, n. 1, 2017, p. 140.
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EDMOND JABÈS. LA PAROLA FERITA di Antonio Prete
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Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza
In ricordo di Giorgio Bassani--da pagina 63 a pagina 67
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Nasce al Cairo nel 1912, il 16 aprile, in una famiglia ebraica, abbiente. La sorella Marcelle, più grande, muore nel 1924, “Quel giorno ho capito che c’era un linguaggio per la morte, come c’è un linguaggio per la vita. Non si parla a un morente come a un vivo. La sua parola è diversa”. Nel 1964, a Roma, si suicida il fratello, più grande anche lui. Come la vita, anche la morte sancisce un multiplo esilio nell’esistere di Jabès: “Al cimitero di Bagneaux, nel dipartimento della Senna, riposa mia madre. Al vecchio Cairo, al cimitero delle sabbie, riposa mio padre. A Milano, nella morta città di marmo, è sepolta mia sorella. A Roma, dove, per accoglierlo, l’ombra ha scavato la terra, è sotterrato mio fratello. Quattro tombe. Tre paesi. La morte conosce frontiere? Una famiglia. Due continenti. Quattro città. Tre bandiere. Una lingua, quella del niente”. Dopo l’infanzia di “cielo azzurro – senza ricordi”, gli studi, tra Egitto e Francia, la scoperta di Rimbaud, l’amicizia con Max Jacob. Viaggia a Gerusalemme durante la Seconda guerra – è antifascista, i suoi posseggono passaporto italiano. Lascia l’Egitto, nel 1957, per sempre, per la Francia, optando per una tenda nell’esilio – diventa cittadino francese dieci anni dopo. Nel 1992, la morte
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