Zombies- Racconto/meditazione di Giuliana Zimucci







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Faccio la commessa in un dozzinale negozio di abbigliamento al centro di Roma ma non abito in centro, non abito neanche in città. Vengo da fuori e mi smazzo ogni giorno trenta chilometri per arrivare al lavoro. Oggi sono arrivata alla stazione del paese, un buco di culo tra le campagne, dove le pecore sono più numerose dei cristiani, e mi sono seduta sulla panchina davanti ai binari ad attendere. Sul tabellone luminoso dice che il treno arriva tra venti minuti ma mi aspetto che da un momento all'altro cancellino la corsa. Da due settimane ci sono gli scioperi bianchi e chi se la prende in quel posto siamo sempre noi pendolari. Ieri un tizio particolarmente nervoso si è spinto fino alla cabina di pilotaggio e ha aggredito il macchinista. Un prêt-à-porter delle tensioni sociali. Ed ecco l'annuncio dai megafoni. Il treno per Piazzale Flaminio è stato annullato. Il prossimo treno arriverà alle ore eccetera eccetera. Stavolta mi licenziano. È già successo a Maddalena. La prossima sono io. Dovrò cercare un altro posto, ci sono abituata, vado avanti così da mesi. L' unica nota positiva è Daniele, il mio ragazzo, che mi aspetta fuori dalla stazione ogni giorno e mi accompagna fino al negozio. Lui abita dall'altra parte di Roma e fa il cameriere in un bar. Di solito lungo la strada parliamo dei nostri casini familiari, dei vecchi professori delle scuole superiori, che ci dicevano le solite parole noiose e stantie. 'Non combinerete mai niente, siete una massa di ignoranti scansafatiche e siccome avete la zucca vuota chi sta al governo farà di voi degli zombie zitti e obbedienti a ogni comando'. 
Quando arriva, il serpente metallico è ancora vuoto ma subito ingoia passeggeri di ogni età e continuerà a caricarne fino all'ultima fermata. La carrozza puzza di ferro vecchio, grasso di macchina, esseri umani non lavati, pop corn e gomma bruciata. Dai finestrini aperti arrivano folate di aria tiepida che non bastano a rendere sopportabile il viaggio, così per distrarmi apro Instagram dallo smartphone e comincio a scorrere le immagini ma non riesco a soffermarmi su nulla perché i miei occhi cadono sul telefono della peruviana che mi siede accanto. Lei sta guardando Tik tok. Nel video una signora decisamente sovrappeso e più nuda che vestita si esibisce in una improbabile danza del ventre nel mezzo di un vagone della metropolitana di chissà quale angolo del mondo, a ritmo di una musica araba che la mia vicina di sedile tiene al limite del sopportabile malgrado il forte rumore del treno che sferraglia sulle rotaie. Mi viene in mente che è paradossale stare in treno e guardare immagini di altri che condividono la tua stessa situazione. Forse dovremmo tutti metterci a ballare in maniera sfrenata e insensata. Alla fermata di Sacrofano sale un giovane rasta. Ha la barba incolta e il viso sporco di fuliggine, come se avesse attraversato una canna fumaria, da cui brillano due occhi celeste chiarissimo. Tiene un cucciolo al guinzaglio, non saprei se un Terranova o un meticcio ma è di taglia media, color caffelatte. Il cane sembra mansueto ma pochi secondi dopo si volta su se stesso e abbaia a un uomo di colore che gli ha mollato un calcio nelle zampe posteriori. Ma devo aver assistito al brutale gesto solo io che tenevo lo sguardo rivolto in basso, perché nessuno stranamente ha fatto una piega. L'uomo di colore dà una spinta tra le scapole al rasta. 
'Ehi bello, tuo cane perché abbaia me?'
'Scusa, non lo so, ma ti assicuro che è buono, non morde mai'
'Io voglio sapere cosa ha tu con me!'
'Non ho nulla, ora mi sposto ok?' e cerca di farsi largo tra le persone, con il chiaro scopo di evitare conflitti col nero e si avvia verso le porte.
Il nero a questo punto alza la voce. 
'Tu spinto, tuo cane fa quello che fa padrone razzista'.
Il rasta non si volta neanche, ignora. Ma il nero insiste. 
'Vuoi fare paura e io no paura, no grazie '
'C'ha raggione il signore, alcuni c'hanno paura dei cani, anche se so' piccoli' interviene una donna, 'ste bestie nun ce devono da sali' sur treno!'
Mancano solo cinque minuti a Piazzale Flaminio ma si leva un coro di voci divise tra favorevoli e contrari agli animali a bordo, come se non fossimo poi tutti bestiame in questo frangente. Quando finalmente le porte si aprono, la gente comincia a defluire. Un tizio davanti a me si tasta il posteriore e dice di non avere più il portafogli, voltandosi a destra e manca forse credendo che gli abbiano fatto uno scherzo. Non ho tempo di pensarci. Sgattaiolo fra i miei ex compagni di viaggio e lì fuori vedo la sagoma alta di Daniele. Forse perdo il lavoro a causa dell'ennesimo ritardo, forse no, ma un bacio mi salverà da questa truppa di zombies

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