Sara. Cassandra Quando la filosofia non la prese con filosofia
Quel giorno la filosofia aveva deciso di risalire dai suoi abissi semantici, per intonare agli uomini una bella ramanzina atipica. Diciamo che la filosofia era stufa di essere ricordata tanto spesso come una specie di aggeggio prensile poco definito.
- Prendila con filosofia!
Lo dicevano soprattutto gli uomini che la filosofia non la conoscevano affatto.
E lo dicevano solo perché l'avevano sentito dire da altri uomini che neppure avevano inteso. Così la filosofia si riduceva a essere la spalmatura di un fraintendimento ripetuto. Col risultato che nessuno riusciva davvero a prenderla con filosofia.
- Voi dite di prendere le cose con me.
Ma sapete che forma ho?
Sapete come tenermi fra le mani?
Sapete quanta forza occorre perché io non caschi giù?
Gli uomini apparivano a tal segno intimoriti come quando al liceo c'era l'interrogazione a sorpresa di filosofia. Qualcuno si metteva le mani a cono sul viso e guardava giù, nel tentativo un po' imbranato di non attirare l'attenzione.
- Ma non temete, non temete.
Io non sono la vostra professoressa bacchettona.
Io sono qui perché voglio conoscervi.
A patto che anche voi vogliate conoscermi.
- Signora Filosofia, come potremmo fare la sua conoscenza?
La filosofia si era messa a ridere.
- Adesso sono diventata signora Filosofia?
E quando mi usavi solo per fare i dispetti?
E quando mi usavi per deridere quell'amico che aveva avuto un'idea brillante chiamandolo filosofo?
- Ma non ci sarebbe niente di male, intendiamoci.
A usarmi solo per i vostri interessi non ci sarebbe niente di male.
Se solo mi sapeste usare bene.
- La verità è che io non voglio più essere una comodità insediata all'improvviso nei vostri discorsi, il gioco comodo di un prendere senza sapere come prendere.
- Se voi continuate così, io non funzionerò mai. Capite che cosa voglio dire?
Gli uomini apparivano tutti quanti in uno stato di smarrimento, e qualcuno, lì in mezzo, stava persino riconoscendo i suoi errori giovanili, con un po' di imbarazzo in ritardo.
- Dicci, allora. Come dovremmo prenderti quando prendiamo le cose con filosofia?
- Innanzitutto scordatevi che dovete rimanere passivi agli eventi che vi capitano, e lasciarvene trasportare quasi, per così dire, in maniera aleatoria. Altrimenti mi sarei chiamata fatalismo.
- Va bene. Prendiamo atto.
- E poi non dovete necessariamente restarne imperturbabili. Questo è un atteggiamento di alcune ramificazioni della filosofia, come lo stoicismo. E io, tutta intera, non posso certo ridurmi a una o a due delle mie correnti.
- Va bene. Prendiamo atto.
- Andateci piano con questo prendere atto.
Perché pure l'atto può risalire dai suoi abissi semantici stanco della vostra presa ossessiva.
- Va bene. Prendiamo nota.
- È chiaro poi che nemmeno deprimervi è la presa giusta. Con la filosofia non ci si dovrebbe mai deprimere, perché io non ho mai avuto l'intenzione di deprimere, cioè di abbassare, di portarvi ai livelli più bassi di voi stessi. Tutt'altro.
- Mi perdoni, signora Filosofia, però lei ci sta solo elencando qualche modo di non prenderla, e non ci ha ancora elencato il modo di prenderla.
Cioè non ci ha ancora risposto alla prima domanda.
- Giovane! Ma allora proprio non mi conosci?
Non mi piace fornire risposte infiocchettate, né credo poi di esserne capace. Però mi riesce discretamente facile creare domande più fastidiose del domandone di partenza.
Gli uomini presero a confabulare tra loro, prima sottovoce, poi sempre più rumorosi, per andarsene verbalmente alla ricerca di quella soluzione celata.
- Allora, secondo me vuole dire che dobbiamo farci tante domande sui problemi, ma senza deprimerci a causa di quei problemi.
- No! Non è così. Vedi? Sul dizionario proverbiale scrivono che prenderla con filosofia significa agire come i saggi. E i saggi non hanno bisogno di farsi mille domande.
- Ma scusa, tu sai dirmi esattamente dov'è che iniziano e dov'è che finiscono le domande dei saggi?
- Ha ragione lui, eh. Poi se il saggio è quello lì che sa di non sapere, è inevitabile che il saggio sia sempre pieno di domande.
- Perdonatemi se mi intrometto anch'io, ma non sono assolutamente d'accordo. Se il saggio avesse solo domande e non avesse nessuna risposta, perché chiamarlo saggio? Chiamiamolo semplicemente tizio che possiede più domande di altri tizi.
La filosofia tirò un sospiro di sollievo.
- Finalmente stanno imparando a conoscermi
***
Editoria: nasce 'Occhio di carta', la rivista dei distratti
Per i vent'anni dalla nascita, Iuppiter Group, società di editoria, comunicazione e produzione, dà vita al nuovo progetto editoriale 'Occhio di carta' che promuove il culto del cartaceo, un ribellismo costruttivo, il ritorno al conflitto delle idee e al primato della parola.
Il primo numero della rivista, 180 pagine con cadenza quadrimestrale, si apre con lo speciale: "Pasolini, che dire? Il poeta, il profeta e il narciso: educazione alla critica totale".
Occhio di carta – ha detto il direttore Max De Francesco – è un progetto editoriale che avevamo il bisogno di lanciare nell’agorà di chi crede ancora nel cartaceo e in quei viaggi culturali e sentimentali al di fuori delle mappe ufficiali. È uno sguardo necessario, libero e non disilluso sul mondo spaesato d’oggi, ma certamente “distratto”, pronto a raccontare le piccole cose attraverso la “distrazione” dalla realtà, a riconnettersi con scrittori e poeti dimenticati o calpestati, a muoversi lontano dai clamori per osservare meglio corpo e anima del Mezzogiorno, ma soprattutto per iniziare una corrispondenza con un lettore curioso, armato di pensiero autonomo e critico, strafottente delle mode e delle vetrine preparate con la dovizia del nulla».
Sara Cassandra ha partecipato a questo primo numero della rivista con il racconto che ho condiviso in questo blog
Padre Giovanni Festa
Commenti
Posta un commento