Non c'è cane più fedele di Argo

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Bisogna imparare di nuovo ad amare la condizione umana qual è, accettare i suoi limiti e i suoi rischi, avere un rapporto diretto con le cose, rinunciare ai nostri dogmi di partito, di patria, di classe, di religione, tutti intransigenti e dunque tutti forieri di morte. Quando faccio il pane, penso alla gente che ha fatto spuntare il grano, penso ai profittatori che ne gonfiano artificialmente il prezzo, ai tecnocrati che ne hanno guastata la qualità – non che le tecniche recenti siano necessariamente un male, ma il fatto è che si sono messe al servizio dell’avidità che è certamente un male, e che la maggior parte di esse sussiste solo in virtù di grandi concentrazioni di forze che sono piene di potenziali pericoli.
Penso a chi non ha pane, e a chi ne ha troppo, penso alla terra e al sole che fanno crescere le piante. Mi sento idealista e materialista al tempo stesso. Il cosiddetto idealista non vede il pane, né il prezzo del pane, e il materialista, per un curioso paradosso, ignora che cosa significhi quella cosa immensa e divina che chiamiamo “la materia”.

Marguerite Yourcenar “Ad occhi aperti”, Bompiani Ed.


Sandra - Tu sei un cinico catastrofista che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto!
Sid - No, ti sbagli! Io il bicchiere lo vedo mezzo pieno, ma di veleno.

dal film "Scoop" di Woody Allen, 2006


LETTERA DI ALDA MERINI A UNA RIVISTA FEMMINILE.
Sono una donna anziana,
di 76 anni,
malconcia,
che ha subìto diversi interventi
di cui l’ultimo all’anca
e quindi faccio fatica
a muovermi.
Mi piacerebbe uscire, scendere le scale
(non ho l’ascensore)
e fare una passeggiata
per le vie della città,
bere un caffé al bar,
sorretta dal mio bastone.
Ma ho paura.
Paura del mondo attorno perché è così spaventosamente cambiato.
Io sono stata in manicomio per tanti anni,
ma dopo la legge Basaglia (legge 180 che ha fatto chiudere i manicomi)
i matti sono in giro
e hanno ragione di essere matti:
c’è troppo odio in questa società.
Un odio
che ha devastato l’Italia
e che rende le persone ignoranti,
aride e cattive.
Non c’è più amore
per nessuno.
E per assurdo
affermo
che mi sentivo più sicura in manicomio,
anche se so
che con questa mia affermazione urterò la sensibilità di molti:
io vorrei che riaprissero i manicomi.
Dico di più,
vorrei ritornarci.
Tra le mie quattro mura
non mi sento sicura,
ho dei vicini terribili,
persone inqualificabili.
Mi disturbano con il silenzio, se facessero rumore
mi farebbe piacere,
vorrei sentire le grida
dei loro bambini,
invece niente,
silenzio tombale
che mi porta a domandare "sarà in casa?".
Poi...
improvvisamente
questo silenzio
viene rotto da un rumore violento
che ti fa sobbalzare
perché non te l’aspettavi
e se sei fragile di cuore
può anche farti male.
È una tortura morale.
Madre Teresa di Calcutta diceva
che c’è qualcosa di più grave dell’omicidio colposo: l’indifferenza,
che può arrivare a uccidere un uomo.
Ecco,
i miei vicini
mi trattano con indifferenza.
Non parlano,
non si rivelano,
fanno comunella tra loro, continuano a vedermi
come la donna che è stata in manicomio,
una sorta di stigma
impresso addosso,
che mina la mia identità personale,
per loro...
io sono ancora matta.
E anche mia figlia lo è,
per il solo fatto di essere nata da me.
Ma i veri disturbati di mente sono loro.
La gente
odia la malattia mentale perché ha paura di essere uguale al malato di mente, molti non lo sanno
che sono già uguali ai pazzi.
E così...
li emarginano
credendosi sani.
I miei vicini di casa ricostruiscono la mia pazzia.
Sparlano alle mie spalle perché la mia casa è disordinata,
per loro vivo nella sporcizia, loro invece
hanno case asettiche, perfette
e impersonali
ma non si rendono conto
che vivono nella sporcizia morale.
Il fatto che non mi rivolgano la parola è drammatico...
Alda Merini


Salgo sull’autobus e Signora Maria è già seduta al suo posto.
Ha lo sguardo un po’ contrariato e pensieroso.
“Buongiorno Signora Maria, tutto bene?”
“Si, si” mi risponde distrattamente.
“Che c’è non ha trovato i pomodori in offerta al mercato?”
“Si l’ho trovati! Anzi, te ne ho presi un po’ tiè “ e mi porge una busta di carta.
Ritorna a guardare fuori dal finestrino.
Ora dovete sapere che Signora Maria, ha un carattere che può “esse’ piuma o fero”.
Non so se procedere col mio interrogatorio emotivo o smettere.
Amo il rischio.
Continuo.
“E allora che è ‘sto faccino triste?”
È stata piuma, la sua risposta.
“So’ un po’ arrabbiata e un po’ triste”
Nel mentre, entra Autista “Signora Mari’, ancora co’ ‘sta storia dei pomodori?”
“No. Tiè prendite un sacchetto”
Faccio segno ad Autista di andare.
“L’altro giorno so’ andata al paese (Signora Maria è originaria di un paesino qui vicino, n.d.r.) mentre stavo a fa’ vari giri, incontro Anna” lo sguardo si acciglia.
“Anna è la cognata che non le vuole dare la ricetta del liquore al cioccolato e per questo noi la odiamo?”
“No, quella è Rosa. La Stronza”
Sull’autobus parte un coro di dissenso generale.
“Anna era ‘n’ amica mia”
“Era?”
Inizia un racconto senza fiato e virgole, un flusso di ricordi che travolge tutto quello che incontra.
“Eravamo amiche, io ero fidanzata co’Arturo. Ma no come ve fidanzate voi oggi. Ce tenevamo pe’ mano, de nascosto. C’avevamo 13 anni, era il 1961…” la mente vaga alla ricerca di qualcosa di seppellito nel tempo, ma ancora vivo.
“Ce volevamo tanto bene. Volevo bene pure a Anna. Poi lei m’ha rubato Arturo, se so’ sposati e so’ emigrati”
“Un’amicona! Certo però pure Arturo…”
“È morto, pace all’anima sua. Ma Anna è viva”
“Signora Mari’, me devo preoccupa’?”
“Mentre camminavo, me se piazza davanti. ‘Oh Mari’, te ricordi de me?’, baci e abbracci. Rideva e ricordava cose de quando eravamo giovani”
“Non ha detto niente di Arturo?”
Tutti i passeggeri hanno i pop corn in mano e ascoltano.
“No, perché dopo un po’ ho fatto finta che me squillava er cellulare e so’ andata via”
“Vabbè, sono passati 60 anni, ancora è arrabbiata?”
“Si! Perché lei era amica mia. Non me importa d’Arturo, mi’ marito è stato meglio. Ma lei era amica mia”
Incrocia le braccia, come una bambina arrabbiata.
Perché lei ora è lí, con quel dolore 60enne, con quel vestito sotto al ginocchio, con la gazzosa pagata poche Lire, con la tv in bianco e nero, con un amore puro e un’amicizia che pensava sincera.
Ci sono due tempi diversi.
C’è il tempo che scorre, fatto di giorni e mesi, di stagioni che si rincorrono e si ripetono.
Poi c’è un tempo interiore, in cui alcune cose rimangono sospese, immobili.
Sempre presenti, non vanno via.
C’è una parte della Signora Maria che è ancora lì, tra il dolore e la nostalgia.
“E non poteva dirglielo, adesso, che all’epoca si è comportata male con lei?”
“Ho fatto di meglio! Poi me so’ sfogata co’ mi cognata Rosa. Quella è ‘na pettegola. In mezzo secondo ‘sta storia la sapevano tutti. Ho incontrato Anna er giorno dopo e manco m’ha salutato!”
“A Signora Mari’, Arturo s’è fatto scappa’ ‘sta bella donna! Se starà a magna’ le mani” urla Autista dal posto guida.
“Pace all’anima sua!” risponde ridendo Signora Maria.
Sta ridendo anche una 13enne degli anni ‘60.

(dal blog fb Dai retta ad una cretina )


Non c'è cane più fedele di Argo, aspettò per 20 anni il ritorno di Ulisse a Itaca, e morì faticosamente scodinzolando dopo aver visto tornare il suo padrone, essendo l'unico a riconoscerlo dietro il suo travestimento da mendicante.  
(Patrizia D'Annibale)

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