Il pudore dei Giusti. Filosofia del bene senza spettacolo" -autore. Andrea Tagliapietra -anno 2022 LIBRERIA EDITRICE CAFOSCARINA SRL
La situazione fenomenologica dei Giusti è fortunatamente molto semplice. Il Giusto si oppone ai vari poteri storicamente costituiti, e quindi "lo scandalo dei Giusti non è soltanto quello che essi producono quando, con i loro atti determinati e visibili contrastano l'operato dei poteri che disgregano e distruggono il mondo" (p. 29). Quindi "Se il potere rivela così la sua più remota matrice spettacolare, l'invisibilità dei Giusti è allora, ciò che strutturalmente e strategicamente si oppone allo spettacolo" (p. 29). Il Giusto vuole solamente migliorare un mondo che ai suoi occhi completamente liberi appare semplicemente come crudele e spietato.
Quindi i Giusti "impediscono alla giustizia di chiudersi in se stessa, di diventare un meccanismo incapace di accogliere la possibilità del nuovo... I Giusti impediscono che anche la giustizia diventi spettacolo, trionfo dell'idolo, ripetizione della violenza, ossia l'esatto contrario di ciò che è giusto" (p. 39). La giustizia dimentica di essere una cosa astratta quando viene personificata dall'azione inflessibile e molto determinata di un qualsiasi Giusto.
Il situazionista Guy Debord, che a modo suo fu un grande chiaroveggente, scrisse che "lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra persone, mediato dalle immagini" (p. 28; www.situazionismo.it, quasi un movimento francese nato in Italia). Comunque, facendo un esame analitico più approfondito, emerge che anche nelle nostre attuali società "il permesso si oppone assolutamente al possibile" (qui si fa riferimento al sito).
Il mondo di oggi è ancora più complesso del mondo di ieri, ma le azioni e le pulsioni umane rimangono più o meno le stesse. Ma, dopo tutti i vari accadimenti, anche più recenti, "condurre una vita normale, come accade alla maggior parte dei Giusti, non significa essere banali" (p. 45). Anche se, dopotutto, "la prima azione compiuta dai Giusti è, infatti, sfidare apertamente la disapprovazione della società circostante" (p. 55).
In conclusione, "non c'è quindi , da parte dei Giusti, esibizione del gesto morale compiuto, né aspettativa di riconoscimento o approvazione" (p. 89).
(Damiano Mazzotti sito l'Antidiplomatico.
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Filosofia del bene senza spettacolo
Chi è un Giusto? I Giusti sono i protagonisti di un’antica leggenda ebraica che trae spunto da un famoso passo della Bibbia che vede come protagonista il patriarca Abramo. Essi fanno la loro comparsa come garanti e testimoni che, con la loro sola presenza, impediscono la distruzione del mondo. La Shoah e le terribili vicende del Novecento hanno restituito ai Giusti una drammatica attualità, estendendo la portata del loro magistero allo spazio comune dell’intera umanità.
Eppure i Giusti non sono né santi, né martiri, né eroi. L’elemento cardine della leggenda, che vuole l’esistenza dei Giusti invisibile e segreta, li colloca agli antipodi del luogo del potere e dell’esercizio del dominio. Agli abitatori della moderna società dello spettacolo sembra stupefacente che l’azione di chi vive con discrezione e senza esibizione, come accade per i Giusti, possa avere degli effetti di così grande portata. Il Giusto porta l’idea di giustizia al di là della simmetria e dell’equità che tanta parte hanno nella storia del diritto fino agli scenari utilitaristici contemporanei, che spesso saldano il concetto di giusto con quello di conveniente.
Invece, nell’azione del Giusto la giustizia si dà, contro ogni economia, come incalcolabilità, come dono e come cura del prossimo senza prospettiva di compensazione alcuna.
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Andrea Tagliapietra insegna Storia della filosofia, Storia delle idee e Filosofia della cultura all'Università San Raffaele di Milano. Dirige il Centro di Ricerca Internazionale di Storia delle Idee: www.crisi-philosophy.com). Dirige anche Icone, il Centro Europeo di Ricerca di Storia e Teoria dell'Immagine. Altre informazioni sono reperibili su www.gariwo.net (Gardens of the Righteous Worldwide; ).
Nota aforistica - "Fa ciò che è giusto perchè è giusto" (Maimonide); "La verità come azione è compito dell'Ebraismo" (Buber); "Chi salva una vita, è come se salvasse un mondo intero" (Talmud di Babilonia); "Il denaro è la comunità e non può tollerare nient'altro sopra di sé" (Marx, Grundrisse). Nessun aratro si ferma per la morte di un uomo, tranne l'aratro di quell'uomo.
Nota crudele - La grettezza, di solito, "si associa e precede l'esercizio stesso della crudeltà" (p. 78).
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Il saggio di Andrea Tagliaterra per le edizioni della Fondazione Garivo indaga una "figura" che è parte della tradizione ebraica ma che ha molti spunti di attualità. "La maggior parte dei Giusti si distingue per l’assoluta normalità delle loro esistenze e per le circostanze della vita ordinaria in cui hanno agito”
Un commerciante che abbassa la saracinesca nel Bazar in segno di protesta? O la solleva per nascondere una ragazza minacciata? Un operaio che non ha lasciato la fabbrica per aiutare il suo paese a resistere? Una donna che non cede? Chi soccorre un migrante? Chi sopporta un sopruso? Chi sono, oggi, i “Giusti”? Non i bravi, non gli eroi, non i leader di questa o quella rivendicazione. Ma i “Giusti”, che secondo la tradizione ebraica sono coloro rendono attuale la giustizia, “salvano il mondo intero”, secondo il versetto del Talmud babilonese reso celebre da Spielberg, e lo fanno restando invisibili, spesso volutamente non conosciuti. Ma anche al di fuori di ogni tradizione religiosa, sono quelle persone che compiono semplicemente ciò che è giusto. A costo di un sacrificio, di una scelta etica profonda.
Una celebre poesia di Borges si intitola “I Giusti”: “Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. / Chi è contento che sulla terra esista la musica. (…) Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. / Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”. Borges la prende un po’ alla leggera, o secondo una sua superiore preveggenza, ma di certo coglie un’attitudine enigmatica: non è un generico inno alle persone gentili. Perché essere “giusti” è qualcosa più di una gentilezza e anche di una scelta personale. Implica convinzioni profonde, filosofiche o religiose che siano. E il pensiero va subito a coloro che hanno agito o si sono sacrificati, in circostanze drammatiche. Chi sono, i Giusti? Se lo chiede il filosofo Andrea Tagliapietra in un raffinato excursus per individuare il “tipo ideale” del Giusto, “Il pudore dei Giusti”, (edizioni Cafoscarina).
Docente di Storia della filosofia e Storia delle idee all’Università San Raffaele, in questo saggio realizzato per la Fondazione Gariwo, Tagliapietra non disdegna ovviamente la leggerezza di Borges, ma va alla ricerca dell’essenza, anzi dei tratti essenziali, di una figura che è parte della Storia, che incontriamo – ma quasi sempre senza saperlo, e senza che lui/lei stesso se ne renda conto – magari non ogni giorno, ma in certi momenti delle nostre storie sì. I Giusti non si mostrano, ma è il loro stare nel mondo che li rende manifesti, riconoscibili: il più delle volte “dopo”, attraverso l’impronta che hanno lasciato. I Giusti come coloro che in una situazione tragica, violenta, estrema, tengono lontana la catastrofe, la rinviano. La negano.
Il campo d’osservazione dove rintracciare storicamente le figure dei Giusti è enorme, ma non è obiettivo di questo libro. Il riferimento di base è la Shoah, e non solo perché l’espressione “Giusti” è radicata innanzitutto nella tradizione ebraica, seppure sia individuata anche in altre religioni. Ma non è possibile leggere queste pagine senza pensare ad altri massacri, o a genocidi il cui nome diviene urgente solo ora, come Holodomor.
Fondazione Gariwo del resto riflette sulla figura dei Giusti che hanno salvato vite in tutti i genocidi. Altro riferimento imprescindibile è l’esperienza di annichilamento dei lager, le cui ferite sono ancora visibili e presenti nella riflessione etica e filosofica. Non casualmente, Tagliapietra cita nelle prime pagine, dedicate al “senso della possibilità” di essere Giusti, il giudizio di Gustaw Herling su una intuizione profondissima di Salamov, il grande testimone del Gulag: “In uno dei suoi bellissimi racconti Salamov, che era ateo e detestava suo padre pope, dice di credere qualcosa che sembra scomparsa nel mondo moderno, l’anima. E racconta di aver difeso disperatamente la sua anima. Cioè la sua connotazione umana e la sua dignità”.
Ma ci sono altre dimensioni che definiscono l’esperienza della “giustezza”, e ancora una volta molto attuali. L’accoglienza del diverso; l’ospitalità assoluta; la scelta tra compiere un atto immorale per utilitarismo o rifiutarlo (il Giusto alla prova del celebre “dilemma del mandarino cinese”); la suprema regola del “dono”; la giustizia anche come una forma di “pazienza” che stempera il desiderio di vendetta. Oggi che la forza del male sembra debordare, ma al contempo c’è un potere dei popoli, delle persone, capace di opporsi, riflettere su queste “figure anti-spettacolari”, che incarnano un “pudore” superiore, è un utile esercizio. I Giusti si riconoscono al negativo, sembra dire l’autore: non si mettono in mostra, non programmano le loro azioni: “La maggior parte dei Giusti si distingue per l’assoluta normalità delle loro esistenze e per le circostanze della vita ordinaria in cui hanno agito”.
E’ così ad esempio per gran parte delle 28 mila biografie di “Giusti delle nazioni” ricostruite a Yad Vashem. Nella “Mishnah” si legge: “Quando i Giusti sono al mondo, nessun altro bene deve venire e la calamità si allontana; quando i Giusti se ne vanno, sopraggiunge la catastrofe e il bene abbandona il mondo”. Non è astrazione mistica, è anche un utile strumento per riconoscere chi compie davvero un bene disinteressato dalla “soddisfatta percezione di sé e del proprio buonismo” che spesso contraddistingue la nostra epoca.
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